CCS Ravenna

I Sottoscritti

1)  Movimento No Tap/SNAM della Provincia di Brindisi, in persona del suo portavoce Cosimo Quaranta

2) Redazione di “emergenzaclimatica.it” ( www.emergenzaclimatica.it ), rappresentante di interesse registrata presso la Commissione della Comunità Europea come “Think tanks, research and academic institutions”, Identification number in the register: 185226239147-02, in persona del Prof. Angelo Gagliani

3) Forum Ambientalista, Associazione di tutela ambientale riconosciuta dal Ministero dell’Ambiente ai sensi dell’art.13 della legge 349/86, con sede a Roma, in persona della Responsabile energia Simona Ricotti

4) Rete “Legalità per il clima”, nella persone del Prof. Avv. Michele Carducci, (www.giustiziaclimatica.it)

5) Campagna Nazionale Per il Clima Fuori dal Fossile in persona del suo portavoce Renato di Nicola

6) Coordinamento Nazionale No Triv, in persona del suo portavoce  Francesco Masi

 

FORMULANO

 

le seguenti osservazioni al c.d. CCS Pianura Padana – Rete di Trasporto CO2, Gasdotti Ferrara-Casalborsetti e Ravenna-Casalborsetti

https://va.mite.gov.it/it-IT/Oggetti/Documentazione/11069/16591

 

Premessa

Anche se la VIA riguarda  la sola costruzione dei due Gasdotti Ferrara –  Casalborsetti (26”) e Ravenna – Casalborsetti (36”) per il trasporto della CO2, secondo il proponente “ l’area di Ravenna … è adatta al ricevimento di CO2 via terra e via mare, consentendo l’accesso all’infrastruttura da tutto il territorio nazionale e dal bacino del Mediterraneo” pag. 6 del progetto, dobbiamo necessariamente premettere gli insuccessi e l’immaturità della tecnologia CCS a livello internazionale, il suo alto costo, e tutti i rischi ambientali connessi e criticare il finanziamento pubblico dell’opera inutile. E Ravenna CCS vuole addirittura diventare il nuovo “hub della CO2” del Mediterraneo, dopo il fallimento del progetto “Italia hub del gas europeo”.

  • Un ennesimo stranded asset finanziato da fondi pubblici.
  • Una ennesima opera pubblica costosa, dannosa e inutile, compresi i due nuovi gasdotti..

 

Premesse:

I. CCS e CCUS: due concetti completamente diverse

II. CCS: una vecchia storia di insuccessi nel mondo e in Italia

III: La scarsa utilità del progetto

IV: Perché ENI ci riprova col CCS

V. CCS, gasdotti, Ferrara, Ravenna, Porto Corsini: terre sismiche e alluvionali                                                                                                                           

  1. CCS e CCUS: due concetti completamente diversi

Il CCS, Carbon Capture and Storage, vuol dire “La gestione del carbonio industriale è la gamma di tecnologie per catturare, trasportare e immagazzinare le emissioni di CO2 provenienti da impianti industriali e di produzione di energia, nonché per rimuovere la CO2 dall’atmosfera.”.

ENI vuole sviluppare insieme a SNAM il progetto di realizzazione di una infrastruttura di trasporto mediante condotte onshore, cioè nuovi gasdotti,  che consentirà il convogliamento della CO2 catturata dal polo industriale di Ferrara e Ravenna per immagazzinarla nei giacimenti a gas esauriti dell’Adriatico di fronte a Ravenna.

Un po’ come dire: ENI continua a produrre CO2, la cattura in parte e SNAM la trasporta e la nasconde sotto il mare: una operazione di puro e classico greenwashing.

Diverso è il CCUS, Carbon Capture, Utilization and Storage: ENI continua a produrre CO2, ma essa viene trasportata verso impianti che riutilizzano la CO2 in processi industriali per esempio per l’estrazione del petrolio, il trattamento dei rifiuti industriali alcalini e la conversione della CO2 in sostanze chimiche utili.

Anche il CCU è una forma di greenwashing, in quanto serve principalmente oggi per estrarre dai giacimenti petroliferi le ultime gocce di petrolio, ma può avere anche utilizzi meno ambientalmente impattanti.

il progetto presentato prevede però solo il CCS, cioè nascondere in mare le emissioni climalteranti per non pagare la carbon tax e mostrarsi ambientalmente sostenibili nelle produzioni di emissioni hard-to-abate da parte di ENI.

  1. CCS: una vecchia storia di insuccessi nel mondo e in Italia

I diversi progetti di CCS del passato, nel mondo, si sono dimostrati quanto meno deludenti, assolutamente non convenienti economicamente e soltanto teorici dal punto di vista della lotta al cambiamento climatico. Tra gli esperti vi sono opinioni contrastanti sul suo futuro e sul suo reale potenziale: se da un lato alcuni la vedono come uno strumento di vitale importanza, per altri rappresenta – nel migliore dei casi – un modo per nascondere il “problema delle emissioni” sotto il tappeto e continuare a produrre in maniera insostenibile.

Fallimenti CCS nel mondo

Progetto Oxy: Nel 2023 l’azienda petrolifera statunitense Occidental Petroleum (Oxy) ha svenduto uno dei più grandi impianti per la cattura e il sequestro dell’anidride carbonica al mondo a causa degli alti costi di gestione e della bassa resa del sistema.

vedi https://www.bloomberg.com/news/features/2023-10-23/occidental-quietly-ditched-world-s-biggest-carbon-capture-plant

–   Progetto Century, stessa fine:  https://www.geos.ed.ac.uk/sccs/project-info/82

Progetto Chevron: Nel 2021 Il gigante petrolifero statunitense Chevron ha clamorosamente mancato l’obiettivo di ridurre di almeno l’80% le emissioni di CO2 del suo impianto per la liquefazione del gas naturale a Gorgon, in Australia con circa un quarto solamente delle emissioni che la società si era prefissa di abbattere. Sebbene l’impianto di Gorgon sia entrato in funzione nel 2016, vari problemi ne hanno ritardato la messa a regime fino al 2019 e continui inconvenienti tecnici ne hanno impedito il funzionamento regolare. L’impianto, costato tre miliardi di dollari statunitensi e che ha ricevuto 60 milioni di dollari di finanziamenti pubblici, è controllato al 47,3% da Chevron, con ExxonMobil e Shell che ne detengono il 25% ciascuno.

https://www.qualenergia.it/articoli/cattura-co2-fallimento-mega-progetto-chevron-manca-obiettivo/

Boundary Dam CCS in Canada: cattura CO2 della centrale di generazione termoelettrica a carbone della compagnia SaskPower: costo per il retrofit dell’unità 3 è stato di 354 milioni di dollari e quello del sistema CCS di 1,2 miliardi https://www.power-technology.com/projects/sask-power-boundary-dam/

Progetto Petra Nova in US: usato per EOR: Il costo di cattura della CO2 è di 65 dollari alla tonnellata, https://www.nrg.com/case-studies/all-case-studies.html

I Programmi europei per il CCS

I programmi EEPR  e NER300  nell’Unione Europea

 

La dotazione finanziaria del programma era di quasi 4 miliardi di Euro,

di cui un miliardo destinato a sei progetti CCS: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=LEGISSUM:en0012&from=EN

Ma nel 2018 la Corte dei conti europea ha concluso che nessuno dei due programmi (EEPR e NER300) è riuscito a diffondere le tecnologie di cattura e lo stoccaggio del carbonio nell’UE. I progetti non hanno contribuito alla costruzione di nessun impianto CCS a livello dimostrativo né hanno stimolato la crescita economica. https://op.europa.eu/webpub/eca/special-reports/climate-action-24-2018/it/

– La relazione speciale della Corte dei Conti Ue di ottobre 2018 spiega i motivi che hanno determinato il totale insuccesso dei progetti CCS su vasta scala. – https://www.qualenergia.it/pro/documenti/la-relazione-speciale-della-corte-dei-conti-ue/

Il CCS in Italia

– Secondo uno studio di WWf ed Ecco di luglio 2021, i costi della CCS sono proibitivi. La filiera della CCS è fatta di tecnologie quasi completamente immature, anche se nell’ultimo decennio sono fioriti prototipi su scala dimostrativa, in diversi casi finanziati da soggetti pubblici. I costi di cattura della CO2 da stabilimenti industriali variano a seconda dei processi produttivi considerati, perché cambia la concentrazione di anidride carbonica negli off-gas. Negli stabilimenti siderurgici e nei cementifici il costo di separazione è elevato e in media pari a, rispettivamente, 58 €/t e a 74 €/t. I costi sono inferiori per gli stabilimenti chimici e compresi fra 21 e 29 €/t. Vedi  https://www.iea.org/commentaries/is-carbon-capture-too-expensive

– Come da nostre Osservazioni alla Consultazione per la procedura di Valutazione Ambientale Strategica del Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee (PiTESAI) del 2021, https://va.mite.gov.it/File/Documento/533745 ,  per quanto riguarda il CCS (Carbon Capture and Storage), il RA a pag. 115 cita che “sono in sperimentazione, in alcune parti del mondo (non in Italia ove sono pervenute solo poche proposte di progetti al vaglio dell’Amministrazione), sistemi di stoccaggio in sotterraneo di CO2.”,

– Il “progetto di eccellenza” italiano: CCS Brindisi – Cortemaggiore ENI – ENEL

Il progetto è del 2011, che doveva separare una piccola quantità di CO2 dai fumi della centrale a carbone Enel di Brindisi, finanziato dal pacchetto Clima Energia 20 20 20 nel 2008 con 100 milioni e mai entrato in funzione, tanto che nel 2018, come già ribadito, la Corte dei Conti Europea nella relazione n. 24/2018 ha certificato il fallimento della tecnologia CCS dopo aver esaminato i risultati ottenuti con il programma EEPR. Nel portale delle VIA del MASE è presente la Valutazione Impatto Ambientale (di settembre 2009) per il Progetto pilota di Iniezione CO2 nel livello Pool A del Giacimento Concessione Cortemaggiore.

https://va.mite.gov.it/it-IT/Oggetti/Documentazione/275/316

Attraverso l’European Energy Programme for Recovery, l’Unione Europea aveva  riconosciuto a Enel un finanziamento di 100 milioni di euro per il progetto pilota di Brindisi vergognosamente fallito e non si sa che fine hanno fatto quei soldi.

https://www.enel.com/it/media/esplora/ricerca-comunicati-stampa/press/2011/03/enel-inaugurato-a-brindisi-il-primo-impianto-pilota-in-italia-per-la-cattura-della-co2

– Progetti ENI CCS

  1. Il progetto HyNet nella baia di Liverpool: A inizio 2022 c0è stato uno sversamento di petrolio al largo delle coste di Liverpool, presso un impianto gestito dall’Eni. Lo stesso impianto che riguarda il mega-progetto Hynet, per la cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica e la produzione di idrogeno blu e che dovrebbe vedere la luce entro il 2025.
  2. Il progetto Eni Ravenna

Destinato secondo i progetti a diventare uno degli impianti CCS più grandi del mondo, il sistema di separazione e stoccaggio che coinvolgerebbe inizialmente siti chimici ed energetici del gruppo Eni si configurerebbe come un grande progetto commerciale che, se finanziato con denaro pubblico, porterebbe al doppio dividendo di vantaggi dalla certificazione delle mancate emissioni e dagli incentivi ricevuti.

III: La scarsa utilità del progetto

Le quote catturate con il CCS sono climaticamente insignificanti.

Attualmente, sono circa 40 gli impianti commerciali di cattura della CO2 operativi nel modo, secondo la Iea:

https://ieefa.org/sites/default/files/2024-01/Blue%20Hydrogen%20Not%20Clean%20Not%20Low%20Carbon_September%202023_0.pdf

Questi impianti catturano annualmente 45 milioni di tonnellate di CO2, equivalenti allo 0,12% delle emissioni globali del 2022 legate al solo settore energetico, senza contare gli altri milioni di tonnellate da catturare provenienti dagli altri settori.

Da un punto di vista costi-benefici, dunque, sarebbe molto meglio privilegiare l’elettrificazione diretta anche di molte attività energivore, che sono più elettrificabili di quanto si pensi comunemente, soprattutto per la produzione di calore di processo, anche a temperature superiori ai 200 °C.

Ancora più insignificante e incredibilmente costoso sarebbe poi l’apporto alla decarbonizzazione di un’altra forma di CCS, cioè la cattura diretta dell’aria (Dac), che presenterebbe un rapporto costi-benefici insostenibile e inaccettabile

https://www.qualenergia.it/articoli/cattura-co2-acceso-islanda-piu-grande-impianto-cattura-diretta-aria-mondo/

IV: Perché ENI ci riprova col CCS?

Secondo il Rapporto di Greenpeace di giugno 2024 il CCS di Ravenna è l’ennesima falsa promessa di ENI: https://www.greenpeace.org/static/planet4-italy-stateless/2024/06/34e77285-ccs_ennesima-falsa-promessa-di-eni.pdf

Le bugie di ENI e SNAM: pag. 6 del progetto del proponente:

L’area di Ravenna …

  1. d) dispone di un’area logistica e portuale adatta al ricevimento di CO2 via terra e via mare, consentendo l’accesso all’infrastruttura da tutto il territorio nazionale e dal bacino del Mediterraneo;
  2. e) le infrastrutture di trasporto a servizio dei campi a gas, facenti parte della rete Snam, sono potenzialmente convertibili alle attività di trasporto CO2;”
  • Ricordiamo anche che il progetto CCS di ENI a Ravenna era stato inserito nella prima bozza del PnRR, poi bocciato dall’Unione Europea.
  • Con il progetto Ravenna CCS, ENI fa fare la Valutazione di Impatto Ambientale a SNAM per i soli gasdotti da finanziare coi soldi PNRR, giustificando cosi tutto il progetto CCS, che poi vedrà di farsi finanziare dalla BEI o BERS come progetto CCS integrato Callisto (CArbon LIquefaction transportation and STOrage) Mediterranean CO2 Network, inserito nella 6. lista dei Progetti di Interesse Comune. Da qualche parte i fondi pubblici devono arrivare…

Il progetto Eni Ravenna è destinato secondo i progetti a diventare uno degli impianti CCS più grandi del mondo, il sistema di separazione e stoccaggio che coinvolgerebbe inizialmente siti chimici ed energetici del gruppo Eni si configurerebbe come un grande progetto commerciale che, se finanziato con denaro pubblico,

porterebbe al doppio dividendo di vantaggi dalla certificazione delle mancate emissioni e dagli incentivi ricevuti.

 https://www.offshore-technology.com/news/eni-confirms-500-barrel-oil-spill-after-pipeline-leak/

I sussidi sono necessari alla CCS (e agli utili d’impresa?)

Una delle critiche fondamentali contro la CCS è che si tratti di una foglia di fico dietro cui le società degli idrocarburi possono nascondersi per continuare a estrarre gas e petrolio il più a lungo possibile, rimandando sine die un reale taglio delle emissioni.

Un corollario di questa critica è rappresentato dalla possibilità che la CCS fornisca una nuova fonte di sussidi, necessaria sia per sostenere l’attività stessa di CCS, sia per puntellare gli utili complessivi delle società del settore.

Storicamente, la CCS applicata al di fuori della Eor (recupero di altro petrolio), è risultata spesso economicamente insostenibile senza sussidi pubblici, nonostante sia tecnologicamente una pratica in circolazione da una cinquantina d’anni, che avrebbe dovuto quindi imparare a camminare con le proprie gambe, se solo si fosse dimostrata una soluzione ragionevole per il mercato.

È interessante fare un breve confronto fra gli utili di Eni e Snam, i due partner della joint venture di Ravenna, e i sussidi ambientalmente dannosi (Sad) erogati in Italia ai settori dell’energia e dei trasporti, cioè quelli che più direttamente interessano le due società. Gli ultimi dati disponibili sui Sad sono riferiti al 2022, quindi li raffronteremo con gli utili delle due aziende nello stesso anno.

In questo caso, la CCS servirebbe molto di più ad aiutare i bilanci aziendali delle due società che non a usare in maniera saggia il bilancio di carbonio residuo che possiamo permetterci di spendere come collettività senza peggiorare la crisi del clima.

Sembra quindi più vantaggioso uno sforzo maggiore per tagliare subito le emissioni con tecnologie di elettrificazione dei consumi e di efficienza energetica, piuttosto che un perpetuarsi delle emissioni con uno sforzo maggiore a favore della CCS.

  1. CCS, gasdotti, Ferrara, Ravenna, Porto Corsini: terre sismiche e alluvionali

Secondo il proponente l’area di Ravenna … è adatta al ricevimento di CO2 via terra e via mare, consentendo l’accesso all’infrastruttura da tutto il territorio nazionale e dal bacino del Mediterraneo” pag. 6 del progetto. Tanto adatta non lo è: ci sono state tre devastanti alluvioni nell’area, in cui anche il gasdotto SNAM di Ravenna nel maggio 2023 si è spostato di 13 metri: https://www.meteoweb.eu/2023/05/alluvione-emilia-romagna-gasdotto-snam-spostato-13-metri/1001252908/ .

Inoltre, proprio a Ravenna è in costruzione il gasdotto della Linea Adriatica sempre di SNAM e il gasdotto intorno alla città per collegare la FSRU SNAM di Punta Marina alla rete SNAM lungo oltre 30 km. E sono molto vive ancora le proteste da parte di cittadini e istituzioni contro queste due opere.

Aggiungere altri due gasdotti mediante la realizzazione complessiva di circa 75 km di nuove condotte è un affronto alla popolazione del territorio.

Inoltre Ravenna è zona altamente sismica: i gravi danni del terremoto del 31 maggio 2012, che causò complessivamente 28 morti e 300 feriti, 45mila le persone sfollate, con una stima dei danni per 13 miliardi:, il terremoto del  28 ottobre 2023, quello ultimo del 12 giugno 2024.

Sismicità indotta. L’iniezione massiccia nel sottosuolo ad alta pressione di CO₂ (che assume in queste condizioni lo stato liquido) rappresenta un tipo di interferenza con la litosfera senza precedenti, con potenziali effetti collaterali come la possibilità di innescare terremoti.

Le nostre osservazioni si basano su diversi criteri:

  1. criteri temporali, anacronismo e inefficienza di impianti CCS e relativi gasdotti
  2. criteri metodologici della consultazione
  3. criteri di mercato e opportunità economica
  4. criterio di politica sulle emissioni europea e la finta sostenibilità ambientale
  5. criteri tecnici sui rischi industriali, ambientali, per la sicurezza e per la salute del progetto CCS e relativi gasdotti
  6. criteri di transizione climatica e incidenza CCS su emissioni totali
  7. criteri di giustizia climatica
  8. criteri di opportunità “One for One” europei per evitare stranded assets.

Nello specifico:

1.1: Criteri temporali: La VIA è anacronistica e incompleta

Perché riguarda solo una parte del progetto Ravenna CCS, cioè i gasdotti, ma non si capisce tecnicamente da quali impianti arriverà la CO2: si parla addirittura di  “ricevimento di CO2 via terra e via mare, consentendo l’accesso all’infrastruttura da tutto il territorio nazionale e dal bacino del Mediterraneo”, ma nessuna indicazione sulle strutture a cui si collegheranno i due gasdotti e con quali impianti verrà poi iniettata la CO2 nei pozzi esauriti in mare.

La VIA riguarda solo la porzione centrale del progetto Ravenna CCS, quello dei due gasdotti di trasporto. Perciò il progetto è insufficiente per valutare l’impatto ambientale dell’intero progetto.

1.2: il progetto rientra tra le attività a rischio di incidente rilevante Decreto Legislativo 26 giugno 2015 n. 105 Direttiva Seveso 3 ?

Si parla di tonnellate di CO2, gas climalterante e rischioso, ma non ci sono cifre sulla effettiva quantità che si troverà nei gasdotti per valutare se il progetto rientra tra le attività a rischio di incidente rilevante, tipo sversamenti di petrolio come successo a Liverpool o carbon leaks in atmosfera e in mare.

1.3: La consultazione riguarda l’assoggettabilità a VIA dei soli gasdotti

Per cui non si può accettare la richiesta di assoggettabilità a VIA dei soli  gasdotti e non viene considerata la cumulabilità di rischio di incidente rilevante dell’intero progetto, dalla cattura della CO2 alla sua iniezione in mare.

2.1. Inefficacia pratica del metodo di consultazione

 

Nella consultazione MinAmbiente non si dichiara quale sia l’effettiva efficacia della consultazione e quali i limiti: una consultazione sfavorevole alle opere quali effetti giuridici produce? Blocca l’opera? Pone delle prescrizioni? A che serve?

E’ solo greenwashing di ENI per giustificare il coinvolgimento della cittadinanza e delle amministrazioni per la realizzazione dell’opera: “abbiamo sentito tutti e la facciamo lo stesso.”

2.2. Mancanza di potere di prescrizioni alla VIA con la consultazione pubblica.

La consultazione pubblica non ha nessuna legittimazione a porre prescrizioni o addirittura a bloccare l’opera inutile, costosa e dannosa. Perciò è solo greenwashing.

  1. Costi, mercato e opportunità economica

I costi

Sappiamo che il costo di un ciclo completo di separazione e stoccaggio della CO2 negli impianti attuali varia da 124 a 317 euro per tonnellata di CO2, il che vuol dire che il costo di questa sola prima fase, in qualche modo “sperimentale”, sarà di oltre  cinque milioni di euro, senza per altro considerare nel calcolo i costi collegati alla gestione dei rischi, né  quelli della manutenzione e monitoraggio dei siti.

L’alto costo della CCS dovrà quindi essere compensato dalla vendita della CO2 catturata, oppure da incentivi governativi, e sicuramente facendo pagare un prezzo ai consumatori.

Vedi Reuters https://www.reuters.com/business/sustainable-business/us-ethanol-industry-banks-carbon-capture-solve-emissions-problem-2022-03-11/

“The nascent CCS industry has been plagued by high costs and underperformance, crucial federal incentives for carbon capture are stalled in Congress, and public opposition to the pipeline infrastructure needed to transport captured gas is mounting.”

“The United States has 12 active CCS projects, according to the Global CCS Institute. But the technology has so far failed to meet expectations.

The Department of Energy, for example, spent more than $1 billion on nine CCS projects between 2010 and 2017, but just two are operational today, according to a December report from a government agency watchdog”

Vedi https://www.reuters.com/markets/commodities/us-watchdog-urges-better-oversight-publicly-funded-carbon-capture-2021-12-20/

“There have been several high-profile failures of CCS projects in recent years too, like the 2020 suspension of the $1 billion Petra Nova project in Texas, which missed its carbon capture goals by 17%.”

Come evidenziato dall’IPCC, tuttavia, la CCS nel settore energetico ha ancora dei limiti da superare prima di poter operare su larga scala, il che significa che ha un potenziale limitato e costi proibitivi IPCC, Climate Change 2022: Mitigation of Climate Change – Summary for Policymakers, pagina 40, 2022

https://www.ipcc.ch/report/ar6/wg3/downloads/report/IPCC_AR6_WGIII_SPM.pdf

– Sui limiti attuali delle tecnologie CCS vedere anche “The current scope and stand of carbon capture storage and utilization ∼ A comprehensive review” su https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S2666016423000737

Come evidenzia anche il Global CCS Institute nel novembre 2022 https://status22.globalccsinstitute.com/wp-content/uploads/2022/11/Global-Status-of-CCS-2022_Download.pdf

  1. Criteri di finanziamento pubblico dell’opera

Il progetto CCS di ENI a Ravenna era stato inserito nella prima bozza del PnRR, poi bocciato dall’Unione Europea.

Con il progetto Ravenna CCS, ENI fa fare la Valutazione di Impatto Ambientale a SNAM per i soli gasdotti da finanziare coi soldi PNRR, giustificando cosi tutto il progetto CCS, che poi vedrà di farsi finanziare dalla BEI o BERS come progetto CCS integrato Callisto (CArbon LIquefaction transportation and STOrage) Mediterranean CO2 Network, inserito nella 6. lista dei Progetti di Interesse Comune. Da qualche parte i fondi pubblici devono arrivare…

Il progetto Eni Ravenna è destinato secondo i progetti a diventare uno degli impianti CCS più grandi del mondo, il sistema di separazione e stoccaggio che coinvolgerebbe inizialmente siti chimici ed energetici del gruppo Eni si configurerebbe come un grande progetto commerciale che, se finanziato con denaro pubblico,

à porterebbe al doppio dividendo di vantaggi dalla certificazione delle mancate emissioni e dagli incentivi ricevuti.

 https://www.offshore-technology.com/news/eni-confirms-500-barrel-oil-spill-after-pipeline-leak/

  1. Criterio di politica sulle emissioni europea e la finta sostenibilità ambientale

CCS Ravenna è un grosso investimento, che, coi dati di mercato rischia di rivelarsi come stranded asset dopo il 2030 principalmente a causa delle politiche COP21 sottoscritte dall’Italia e in termini di riduzione e annullamento delle emissioni di CO2 per il 2050. E’ un’opera che nasce già stranded e le ipotesi degli scenari inventati da ENI di “Global Ambition e  Late Transition” non trovano corrispondenza nella domanda del mercato europeo e italiano del gas.

Nel 2018 la Corte dei conti europea ha concluso che nessuno dei due programmi (EEPR e NER300) è riuscito a diffondere le tecnologie di cattura e lo stoccaggio del carbonio nell’UE. I progetti non hanno contribuito alla costruzione di nessun impianto CCS a livello dimostrativo né hanno stimolato la crescita economica. https://op.europa.eu/webpub/eca/special-reports/climate-action-24-2018/it/

– La relazione speciale della Corte dei Conti Ue di ottobre 2018 spiega i motivi che hanno determinato il totale insuccesso dei progetti CCS su vasta scala. – https://www.qualenergia.it/pro/documenti/la-relazione-speciale-della-corte-dei-conti-ue/

  1. Criteri tecnici sui rischi industriali, ambientali, sulla sicurezza e per la salute del CSS 

5.1: Quadro normativo

Il D.Lgs. N. 162 del 14/09/2011

Il decreto prevede di

– stabilire adeguate garanzie tecniche economiche e finanziarie a carico dei richiedenti le autorizzazioni e le concessioni (capacità economica)

– Stabilire obblighi in fase di chiusura e post-chiusura dei siti, ivi incluse la prestazione delle idonee garanzie finanziarie e la disciplina delle modalità di trasferimento delle responsabilità alle autorità competenti

– Prevedere forme con5nue e trasparenti di informazione del pubblico sui dati ambientali relativi agli impianti di stoccaggio ivi comprese le infrastrutture di trasporto di esplorazione e fase post chiusura (banche dati/atlanti consultabili)

– Il D.Lgs N. 120 11/09/ 2020

che introduce modifiche al D. Lgs n. 162 del 14/09/2011

Il testo dell’art. 60-bis, rubricato “Semplificazioni per lo stoccaggio geologico di biossido di carbonio”, introduce alcune modifiche al D.Lgs 162 sintetizzabili nei seguenti due aspetti:

  • l’esclusione delle Regioni e degli enti locali dal processo decisionale volto all’individuazione delle aree marittime da destinare allo stoccaggio del biossido di carbonio;
  • l’introduzione di una procedura semplificata per dei programmi sperimentali di stoccaggio riferiti a giacimenti di idrocarburi esauriti nelle more della definizione delle aree di cui sopra, su decisione ministeriale, contestualmente all’esclusione dell’assoggettamento alla VIA per i programmi che interessano un volume inferiore alle 100.000 tonnellate.

Di fatto si esclude il coinvolgimento della Conferenza Stato-Regioni nella procedura di individuazione delle aree marittime da destinare allo stoccaggio degli idrocarburi e introduce una procedura provvisoria volta a permettere ai titolari di concessioni di coltivazioni di porre in essere programmi sperimentali di stoccaggio sui giacimenti esauriti.

5.1: Rischi per l’ambiente, la salute e la sicurezza dei sistemi CCS

Abbiamo valutato le analisi dell’ISPRA, ISPRA per i controlli ambientali e di monitoraggio del complesso di stoccaggio avvalendosi anche delle Agenzie Regionali per la protezione dell’ambiente (ARPA) e per il supporto tecnico al comitato nell’ambito della Segreteria tecnica di cui al comma 2 dell’articolo 4.

Fonte: https://www.isprambiente.gov.it/files2023/controlli-ambientali/6-stoccaggi-sotterranei-co2-astorri_ispra.pdf

5.2: Interferenze dell’opera con Aree Protette

Le opere in progetto interessano direttamente 2 Siti della Rete Natura 2000:

– la ZSC/ZPS IT4070003 “Pineta di San Vitale, Bassa del Pirottolo”, attraversata in trenchless per il 71% della sua percorrenza (si veda Tabella 3-4);

– la ZSC/ZPS IT4070021 “Biotopi di Alfonsine e Fiume Reno”, attraversata completamente in trenchless.

Gli interventi risultano posizionati inoltre immediatamente all’esterno di altri 3 Siti Natura 2000 come riportato di seguito:

– 20 m dalla ZSC/ZPS IT4070001 “Punte Alberete, Valle Mandriole”;

– 24 m dalla ZSC/ZPS IT4070004 “Pialasse Baiona, Risega e Pontazzo”;

– 230 m ZSC/ZPS IT4060002 “Valli di Comacchio”

Estendendo il buffer di analisi delle potenziali interferenze ad un intorno di 5 Km dagli interventi, si prendono in considerazione ulteriori 7 siti Natura 2000, di seguito riportati:

– ZSC/ZPS IT4070002 “Bardello”;

– ZSC/ZPS IT4070005 “Pineta di Casalborsetti, Pineta Staggioni, Duna di Porto Corsini”;

– ZSC-ZPS IT4070006 “Pialassa dei Piomboni, Pineta di Punta Marina”;

– ZSC/ZPS IT4060008 “Valle del Mezzaro”;

– ZSC/ZPS IT 4060016 “Fiume Po da Stellata a Mesola e Cavo Napoleonico;

– ZSC IT3270017 “Delta del Po: tratto terminale e delta veneto”

– ZSC/ZPS IT4060003 “Vene di Bellocchio, Sacca di Bellocchio, Foce del Fiume Reno, Pineta di Bellocchio”.

5.3: Consumo di energia, acqua e chemicals

– Emissioni di gas serra (Co2 non catturata + Co2 emessa per il consumo di energia nelle fasi di cattura trasporto e stoccaggio)

– Produzione di rifiuti pericolosi solidi dal trattamento fumi e liquidi (degradazione delle ammine).

–  Impatto sulla matrice aria (PM, NOx, SOx, NH3, VOC), acqua (acidificazione), sugli ecosistemi (marini) e sulla salute (alcuni chemicals cancerogeni)

– Rischi per la sicurezza dovuta al rilascio incontrollato (significativi poiché la CO2 è un asfissiante e anche un potente solvente (super solvente) che dà possibili problemi di corrosione e contaminazione tossica.

–  Rischio sismico/tsunami e frana (deformazione suolo) indotta dal CCS

5.4: Sicurezza Seveso: 

L’HSE, (Health and Safety Execu5ve) l’autorità britannica competente per la Seveso, ha predisposto una nota tecnica nella quale si identificano una serie di eventi/scenari che potrebbero condurre ad un incidente rilevante sostanzialmente collega5 alle caratteristiche del fluido di CO2:

– manipolazione di un fluido in condizione supercritiche (in fase liquida e ad alta pressione) e sogge0o a fenomeni di raffreddamento termodinamico “thermal cooling” su larga scala;

– mantenimento dell’integrità delle strutture di contenimento in relazione a:

– bassa viscosità e a tensione di vapore del fluido;

– dissoluzione della CO2 in acqua e insorgenza di fenomeni di corrosione;

-variazioni improvvise della densità del fluido legata a pressione e temperatura che possono condurre ad una espansione improvvisa con ricadute nega9ve alla testata dei pozzi iniezione;

– formazione di particelle solide (ghiaccio secco e idrato) per la rapida espansione e

raffreddamento associato del fluido in grado di limitarne il flusso all’interno dei pozzi;

– effetti tossici per dissoluzione e mobilizzazione di elementi come piombo e cadmio, in virtù delle caratteristiche chimico-fisiche del fluido in condizioni supercritiche, considerato a quelle condizioni un “supersolvente”;

– danneggiamento delle strutture adiacenti al punto di fuoriuscita della CO2 per l’effetto della sabbiatura (blasting effect) causata dalla presenza di elementi solidi (particelle di sabbia o ghiaccio secco) nel fluido ad alta pressione;

– caratteristiche di gas inodore della CO2 tali da non permetterne la rilevazione da parte dell’olfatto per le concentrazioni in aria superiori alla soglie di asfissia;

– diminuzione delle capacità reattive degli addetti all’emergenza per l’incremento delle concentrazioni di CO2 nell’area circostante la fuoriuscita con implicazioni rilevanti per quanto attiene la predisposizione delle procedure di emergenza.

5.5: Rischi stoccaggio:

Rischi significativi collegati con la interazione fluido/impianto di iniezione/formazione geologica riconducibili a:

– pressione di iniezione più alta della pressione originaria del giacimento tale da indurre fra0ure nel nelle rocce di copertura (cap rock) e fuoriuscite di CO2;

– rilascio di CO2 da discon9nuità della copertura impermeabile e/o attraverso sistemi di faglie e fratture causata da una inadeguata rilevazione di tali strutture geologiche;

– rilascio di CO2 da pozzi non eseguiti secondo specifiche di progettazione adeguate o mal progettate;

– rilascio di CO2 da pozzi di monitoraggio;

– rilascio di CO2 da pozzi dismessi non rilevati;

– rilascio di CO2 da pozzo di iniezione per sovrappressione locale a livello di pozzo di iniezione anche per diminuzione progressiva del volume dei vuoti causato dalla dissoluzione/precipitazione dei carbonati (self-sealing);

– sovrappressione nel serbatoio e superamento dell’estensione laterale del sito di stoccaggio per una inadeguata selezione della “trappola” geologica di CO2;

– incremento rischio sismico per iniezioni fluidi e mobilizzazione di sistemi di faglie e fratture

– incremento dell’acidità delle acque, insorgenza di fenomeni di dissoluzione e incremento rischio sinkhole per effetto di azioni sismiche;

– possibilità di mobilizzare altre sostanze gassose come Radon, H2S o CH4

5.6: Conseguenze per l’ambiente marino

– Modifiche del pH

– Mortalità degli organismi oceanici

– Conseguenze per gli ecosistemi

– Effetti cronici sconosciuti

– Modifiche nell’abbondanza di batteri, nanobenthos e meiobenthos dopo

esposizione a 20,000 e 5,000 ppm per 77-375 ore durante esperimento condotti alla

profondità di 2000 nel Pacifico nordoccidentale

5.7 Rischi sismici, idrogeologici e  carbon leaks

Ci sono state tre devastanti alluvioni nell’area, in cui anche il gasdotto SNAM di Ravenna nel maggio 2023 si è spostato di 13 metri: https://www.meteoweb.eu/2023/05/alluvione-emilia-romagna-gasdotto-snam-spostato-13-metri/1001252908/ .

Inoltre, proprio a Ravenna è in costruzione il gasdotto della Linea Adriatica sempre di SNAM e il gasdotto intorno alla città per collegare la FSRU SNAM di Punta Marina alla rete SNAM lungo oltre 30 km. E sono molto vive ancora le proteste da parte di cittadini e istituzioni contro queste due opere.

Aggiungere altri due gasdotti mediante la realizzazione complessiva di circa 75 km di nuove condotte è un affronto alla popolazione del territorio.

Inoltre Ravenna è zona altamente sismica: i gravi danni del terremoto del 31 maggio 2012, che causò complessivamente 28 morti e 300 feriti, 45mila le persone sfollate, con una stima dei danni per 13 miliardi:, il terremoto del  28 ottobre 2023, quello ultimo del 12 giugno 2024.

Sismicità indotta. L’iniezione massiccia nel sottosuolo ad alta pressione di CO₂ (che assume in queste condizioni lo stato liquido) rappresenta un tipo di interferenza con la litosfera senza precedenti, con potenziali effetti collaterali come la possibilità di innescare terremoti.

5.7. Le bugie di SNAM/ENI 

A pag. 6 del progetto si legge:

d) dispone di un’area logistica e portuale adatta al ricevimento di CO2 via terra e via mare, consentendo l’accesso all’infrastruttura da tutto il territorio nazionale e dal bacino del Mediterraneo;

  1. e) le infrastrutture di trasporto a servizio dei campi a gas, facenti parte della rete Snam, sono potenzialmente convertibili alle attività di trasporto CO2;”

Su Ravenna CCS Fase 1 sperimentale non vengono presentati i dati.

Su Ravenna CCS Fase 2 pag. 6: la “realizzazione di un polo logistico di ricezione della CO2 liquida trasportata mediante autobotti, navi e treni presso il porto canale di Ravenna.”

È una dichiarazione di intenti, ma non sono precisate le modalità logistiche: la CO2 verrà trasportata via autobotti, navi o treni? Non sono compresi nel progetto due gasdotti? C’è una generalizzazione non definita delle fonti di approvvigionamento della CO2.

– pag. 6: “realizzazione di una centrale di compressione dove la CO2 proveniente dal Polo Logistico e da altri emettitori sarà compressa e inviata alle piattaforme offshore per l’iniezione in giacimento con lavori di ammodernamento degli impianti presenti sulle piattaforme offshore esistenti, che cesseranno la produzione di gas naturale e alloggeranno i sistemi di regolazione e controllo dei pozzi di iniezione della CO2.”

–> è uno stabilimento che trasforma le sostanze pericolose, per cui da assoggettare alla “Direttiva Seveso III” – Decreto Legislativo 26 giugno 2015, n°105.

Perciò serve il NOF, Nulla Osta di fattibilità, soggetto a nuova consultazione pubblica.

  1. Criteri di transizione climatica, le bugie sul carbon capture

Nell’accordo finale della COP28 non si è deciso per un phase out delle fonti fossili ma si parla, con un’espressione più cauta, di transitioning away: un allontanamento per abbandonare petrolio, gas e carbone. Inoltre, si fa riferimento alla riduzione (phase down) della produzione di carbone non abbattuto e quindi al ruolo dato alle tecnologie di cattura e stoccaggio della CO₂, altro regalo al settore dell’oil&gas che rischia di ritardare gli sforzi di mitigazione dei cambiamenti climatici.

L’industria dei combustibili fossili, infatti, ha esercitato un’intensa attività di pressione per sostenere l’idea che si possa continuare a bruciare carbone, petrolio e gas finché si impedisce alle loro emissioni di entrare in atmosfera, promuovendo quindi una narrazione fuorviante secondo cui la cattura e lo stoccaggio del carbonio (Carbon Capture and Storage – CCS) sono tecnologie che possono svolgere un ruolo abbastanza importante nella riduzione delle emissioni al punto da rendere superflua una rapida transizione dai combustibili fossili.

Ma, come visto nel punto II delle premesse, finora ci sono stati progetti di insuccesso, perché la tecnologia CCS è ancora immatura e troppo costosa e si mantiene solo con finanziamenti pubblici e incide solo in modo marginale sulle emissioni totali di CO2 delle industrie

  1. Carattere antiscientifico della decisione, violazione dei principi ambientali del diritto UE, violazione degli artt. 9 e 41 della Costituzione italiana

Com’è noto e acclarato dalla migliore scienza disponibile, il gas di origine fossile non è un ponte, ma un muro per la transizione verso l’uscita dall’emergenza climatica, tanto che il suo impatto sul sistema climatico, considerato appunto il poco tempo a disposizione per porre fine all’emergenza (2021-2040, secondo l’ultimo AR6 dell’IPCCC) risulta ormai analogo a quello del carbone.

Uno studio recente, The New Gas Boom di Global Energy Monitor, evidenzia i rischi dei massicci investimenti previsti per potenziare la produzione e l’utilizzo di carburanti tradizionali, concentrando la sua analisi sulla futura espansione delle infrastrutture dedicate al gas naturale liquefatto (LNG).

Questo significa che la nuova infrastruttura si pone in contrasto non solo con le migliori acquisizioni della scienza ma con l’intero diritto europeo sulla tutela ambientale e climatica in emergenza.

Infatti, con l’iniziativa in oggetto:

– risulta in violazione la Dichiarazione di emergenza climatica della UE, la quale definisce l’emergenza climatica una “minaccia” da eliminare “prima che sia troppo tardi” attraverso “un’azione immediata e ambiziosa per limitare il riscaldamento globale a 1,5 ºC ed evitare una massiccia perdita di biodiversità” e riconosce che si debba agire “in base alla scienza” e nella considerazione di tutti i Report dell’IPCC, i cui risultati sono dichiarati ““esaustivi sugli effetti dannosi dei cambiamenti climatici”;

– risulta in contrasto con il principio di integrazione e quello di non regressione, desumibili dai Trattati europei, nella parte in cui si stabilisce che qualsiasi azione e decisione in materia ambientale, materia di concorrenza ripartita fra Stato e Regioni, si debba sempre e solo mirare al miglioramento della qualità dell’ambiente e della salute e non invece al loro deterioramenti;

–  risulta in violazione con il principio DNSH – “Do No Significant Harm”, dato che non fornisce alcuna evidenza, scientificamente fondata, accessibile e verificabile, che l’attività promossa miri alla mitigazione climatica e non rechi danni significativi agli obiettivi ambientali di eco-sostenibilità definiti dalla normativa europea (Regolamenti nn. 2020/852-2021/241-2021/1119;

– ne deriva che anche le attività economiche e di impresa, conseguenti all’iniziativa in oggetto, opereranno in violazione delle c.d. “garanzie minime di salvaguardia”, previste come vincolanti dall’art. 18 del Regolamento n. 2020/852;

– di conseguenza, la decisione in oggetto e le attività connesse si porranno in contrasto con l’equazione dell’emergenza climatica, assunta dalla migliore scienza come verifica di sostenibilità e non dannosità della gestione dei tempi di emissione di gas serra rispetto ai tempi termodinamici di destabilizzazione del sistema climatico per la concentrazione sempre dei gas serra (c.d. formula di Lenton et al.);

–   sicché l’iniziativa in oggetto risulta antiscientifica, in contrasto con i principi ambientali europei e persino incostituzionale, dato che prescinde dai nuovi obiettivi, vincoli e limiti dettati dai riformati artt. 9 e 41 della Costituzione e dalla Risoluzione ONU, votata anche dall’Italia, che riconosce il diritto umano universale a un ambiente sano.

  1. Criteri di opportunità “One for One” europei per evitare stranded assets.

Negli ultimi mesi è in discussione al Parlamento Europeo la regolamentazione “One for One”, che, per evitare che investimenti fossili si trasformino in stranded assests, cioè opere fossili che saranno inutili visti gli obiettivi al 2030 e 2050 per la riduzione e l’azzeramento delle emissioni di CO2, e che poi dovranno essere sostenute da investimenti pubblici, si chiede alle aziende fossili come ENI e SNAM di aumentare il proprio capitale sociale di 1 euro per ogni euro investito in opere fossili. SNAM, ENI   e Arera, per i loro intenti firmati sulla decarbonizzazione e a favore dell’ambiente e contro i cambiamenti climatici, dovrebbero sottoscrivere tale impegno e dimostrare la loro reale intenzione green di contrastare i cambiamenti climatici.