È tra i più importanti progetti fossili del nostro Paese. I lavori ora sono in corso tra la centrale di compressione in Abruzzo fino al bolognese: 425 chilometri di tubi, dal diametro 1,2 metri, per un costo previsto di 2,5 miliardi di euro. Togliendo qualsiasi ostacolo e nonostante i consumi in calo in tutta Europa. In questo reportage le testimonianze di chi ha provato a opporsi
Di Linda Maggiori, Link: https://altreconomia.it/lungo-la-linea-adriatica-il-mega-gasdotto-di-snam-che-risale-la-dorsale-appenninica/
In Abruzzo, ai piedi del massiccio del Morrone, nelle campagne di Sulmona, lo sbancamento è imponente. Dodici ettari di scavi, tonnellate di terre di riporto, grandi mezzi, trivelle e tubi di ogni dimensione si susseguono, protetti da alte recinzioni e personale di guardia.
È il cantiere di costruzione della centrale di compressione Snam, snodo della “Linea adriatica”, il mega gasdotto che risale la dorsale appenninica. Nel 2024 la ditta Max Streicher, colosso delle infrastrutture per il fossile, si è aggiudicata la gara indetta da Snam sia per la costruzione della centrale di Sulmona sia per il tratto Sestino-Minerbio, in Emilia-Romagna.
“Da almeno 15 anni abbiamo cercato di fermare il progetto. Ci eravamo quasi riusciti, quando Snam gli diede un nuovo impulso prendendo a pretesto la guerra in Ucraina nel 2022”, racconta Mario Pizzola, storico attivista del comitato No hub del gas Abruzzo e della Campagna per il clima fuori dal fossile.
La “Linea adriatica” è considerata uno dei più importanti progetti italiani di trasporto del gas, il più rilevante degli ultimi 20 anni. Dalla centrale di compressione di Sulmona fino a Minerbio (BO) sono in progetto 425 chilometri di tubi, dal diametro 1,2 metri (molto più grandi dei metanodotti della normale rete di distribuzione) con il gas spinto a 75 bar.
Il costo previsto è di 2,5 miliardi di euro, di cui 375 milioni derivano dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e il resto coperto tramite le tariffe, nella componente del “trasporto”.
Il progetto è diviso in tre tratti, Sulmona-Foligno, Foligno-Sestino e Sestino-Minerbio, con relative Valutazioni di impatto ambientale (Via) rilasciate dal ministero dell’Ambiente oltre dieci anni fa, tra il 2008 e il 2011.
Conta anche due tratte già completate da Sulmona fino a Massafra (TA), che tramite l’interconnessione Massafra-Matagiola (BR) si collegano al Trans adriatic pipeline (Tap) e al terminale ricezione di Melendugno (LE), punto di ingresso del gas che proviene dai giacimenti dell’Azerbaijan.
È in fase di istruttoria invece la verifica di assoggettabilità a Via del progetto di raddoppio della portata del gasdotto Tap, da 10 a 20 miliardi di metri cubi, con numerose osservazioni contrarie presentate dagli ambientalisti. L’obiettivo di Snam è quello di incrementare la capacità di trasporto del metano lungo la direttrice Sud-Nord, verso l’Europa, facendo quindi dell’Italia, come ripete il governo, un “hub”.
“Eppure in Italia, come in Europa, i consumi di metano sono ai minimi storici, intorno a 60 miliardi di metri cubi, 20 anni fa erano oltre 86 miliardi -ribadisce Pizzola-. Secondo uno studio di European lng tracker anche i Paesi Ue hanno abbassato i propri consumi. Le attuali infrastrutture metanifere sono sufficienti, anche in assenza del gas russo, anzi, in vista dell’uscita dal fossile, bisognerebbe cominciare a dismettere quelle superflue. A questo si aggiunge il tema delle emissioni ‘fuggitive’ di metano. Come dimostra un monitoraggio di Legambiente nel 2024, su 45 impianti sotto esame sono stati individuati 120 punti di emissione”. Snam afferma che centrale e metanodotto sono “hydrogen ready, pronti quindi a veicolare molecole decarbonizzate”, salvo poi specificare “con miscele di idrogeno fino al 10%”. Quindi il 90% resterà metano.
La centrale di Sulmona insiste su un corridoio faunistico e su un sito di alimentazione dell’orso marsicano, nonché su un’area sismica di prim
o grado. “Negli anni abbiamo denunciato illegalità, fatto esposti, ricorsi al Tribunale amministrativo regionale (Tar), ma a nulla sono serviti -sospira l’attivista-. Nell’autunno del 2024 circa 300 alberi di ulivo sono stati abbattuti nell’area di cantiere, nonostante siano piante protette. Durante i lavori di archeologia preventiva è stato scoperto un villaggio dell’Età del bronzo (3.500 anni fa), una necropoli con circa 100 tombe e mura di costruzioni risalenti all’epoca italica e romana, ma il ministero della Cultura ha ugualmente dato il via libera e le tracce del villaggio sono state distrutte”.
Il gasdotto da Sulmona risalirà a Popoli, interessando il più grande bacino imbrifero dell’Abruzzo, con un tunnel di 1,6 chilometri tra Popoli e Collepietro e con il rischio di alterazione della falda idrica. Da lì giungerà a Paganica, frazione dell’Aquila ai piedi del Gran Sasso, epicentro del sisma del 6 aprile 2009.
Fernando Galletti, presidente degli usi civici di Paganica e San Gregorio, mostra la lettera ricevuta da Snam a settembre 2024 con la richiesta della “servitù di passaggio”: “Tra le clausole si specifica che se dovesse restare un’opera incompiuta non ci saranno risarcimenti. Non ho firmato, e mi opporrò fino all’ultimo. Gli usi civici non si toccano, non possiamo vendere la sicurezza della gente. Il metanodotto passerà a ridosso di una faglia attiva, dove il terremoto del 2009 spaccò muri spessi tre metri, distrusse case, fece esplodere il piccolo metanodotto esistente, creò voragini nelle strade, fece saltare il tubo dell’acquedotto, aprì cavità ipogee. Non solo Paganica, questo metanodotto tocca tutti i Comuni più terremotati d’Italia”.
Passando tra boschi, orti e casolari abitati, il gasdotto lascerà una scia ampia circa 43 metri tra posa del tubo e fasce di rispetto laterali, senza contare le innumerevoli aree di cantiere e passaggio dei mezzi. “Quasi 40 ettari degli usi civici di Paganica e San Gregorio saranno sbancati, distrutto il sistema di irrigazione per gli orti, abbattuti alberi secolari, distrutti muretti a secco, campi di zafferano, sentieri e tartufaie che sono una risorsa per la gente del posto -ribadisce Galletti- questo gasdotto contribuirà a spopolare le aree interne”.
Nel frattempo è ancora in corso lo studio sismico dell’Istituto nazionale geofisica e vulcanologia (Ingv) richiesto per il tratto Sulmona-Foligno, mentre non è stato richiesto per gli altri due tratti, benché anch’essi sismici. Da Foligno a Sestino, il metanodotto attraverserà l’altopiano di Colfiorito, famoso per le patate rosse e le lenticchie. Qui sarà costruito un Punto di interconnesione derive importanti (Pidi), all’incrocio con il metanodotto Recanati-Foligno. Altro Pidi sarà a San Sepolcro, nell’incrocio tra la “Linea adriatica” e il metanodotto Rimini-Sansepolcro. I cantieri (e relativi sbancamenti) sono già iniziati nei due metanodotti laterali, dove vengono sostituiti e potenziati i tubi.
Anche nell’altopiano di Colfiorito, come a Sulmona, gli scavi archeologici hanno portato alla luce un’antica necropoli. “Qui sorgeva l’antica Plestia, una valle percorsa e abitata dai popoli da tremila anni, ovunque si scava si trovano reperti”, sottolinea Aldo Tosi, attivista del coordinamento no Snam in Umbria.
Da Colfiorito, il metanodotto passerà a ridosso del borgo di Annifo, poi tra boschi e pendii, sotto alle sorgenti del fiume Topino, da dove prende l’acqua tutta Perugia. Risalirà verso Nocera Umbra e Gualdo Tadino, attraversando anche la ferrovia transappenninica Ancona-Roma.
“In tutto l’Appennino -sottolinea Aldo Cucchiarini attivista del comitato No tubo marche e di Mountain wilderness-, stimiamo l’abbattimento di oltre due milioni di alberi. Alberi che difficilmente potranno essere ripiantati. Nelle fasce di rispetto verrebbero tagliati per future manutenzioni e a ogni modo non sono disponibili milioni di alberi nei vivai”.
Interpellata da Altreconomia, Snam riconosce che non sarebbe stata fatta una stima precisa degli alberi da abbattere, ma assicura che “i ripristini vegetazionali compenseranno ampiamente il numero di piante tagliate”, e comunque “una volta posato il tubo, sbancamenti per manutenzione saranno rari. Complessivamente, lasceremo il paesaggio migliore di come lo abbiamo trovato”.
Dal versante marchigiano a quello romagnolo, il gasdotto scenderà poi verso la Pianura Padana. “In molti di questi versanti ci sono frane quiescenti, in un equilibrio talmente instabile che basta pochissimo per innescare delle frane, figuriamoci lo scavo di una trincea profonda -afferma il geologo Francesco Aucone, consulente dei comitati-. Se una condotta interrata dovesse essere coinvolta in un movimento di versante molto grande, potrebbe rompersi con tutte le conseguenze del caso”.
Non sono rari i casi in cui i metanodotti si rompono in seguito a frane, innescando micidiali incendi, come successo nel 2015 a Mutignano (Pineto, TE). Tra Cesena e Alfonsine il metanodotto passa sotto fiumi esondati, argini fragili, campagne alluvionate. Marta Garaffoni e Federico Raspadori vivono nelle campagne di Forlì.
“Eravamo come il villaggio di Asterix e Obelix, in mezzo al passaggio dell’Impero”, scuote la testa Federico. L’oasi verde, col boschetto da loro piantumato e il rifugio per animali, ha infine ceduto alle ruspe. “Abbiamo dovuto accettare la servitù di passaggio o ci avrebbero sequestrato gli animali. Abbiamo chiesto che gli alberi non fossero abbattuti, ma espiantati e trapiantati altrove, ma dubito che sopravviveranno -Marta sospira-. Così dopo l’alluvione è arrivata Snam, togliendo quel po’ di speranza che ci restava”.